Carmen Salvo – (I fiori del Tibisco)

D. Marianacci, I fiori del Tibisco, Rubbettino 2006

Ho cominciato a leggere I fiori del Tibisco incuriosita dal titolo e sollecitata dalla garbata, ma esplicita richiesta dell’autore di aiutarlo a “correggere le bozze”, un’impresa estenuante e che lascia sempre scarsamente soddisfatti. Da qualche settimana mi trovavo nella capitale magiara per un soggiorno di lavoro e poiché sono una lettrice appassionata ed “onnivora” – nonostante il mestiere di storica mi abbia spesso portato a privilegiare una prosa scientifica ricca di note e di eruditi riferimenti archivistici e bibliografici – mi sono subito sentita sicura di potere soddisfare la richiesta in breve tempo. Del resto come sottrarsi all’indiscutibile fascino di una lettura in anteprima di quello che sembrava essere il volo pindarico di un colto diplomatico che attraverso la suggestione letteraria, in un testo intriso di ricordi e fantasie, affida alla scrittura l’eterno palpitante desiderio di ogni uomo e di ogni donna e cioè di potere curare la propria inquieta anima?
La prosa di Dante Marianacci è piana, esercitata, ma il suo bisogno di dar corpo ad emozioni profonde riordinandole e governandole attraverso la parola scritta appare autentico e cattura l’interesse del lettore coinvolgendolo in una lettura non banale.
Esiste un tempo per combattere e un tempo per amare, esiste un tempo per pensare. E l’entomologia diventa un pretesto per parlare del senso della vita e dei sentimenti umani. Alcune specie di insetti vivono solo poche ore eppure anche se il loro ciclo dura un arco così breve hanno compiuto il loro tempo.
“I fiori del Tibisco” appartengono a questa categoria “effimera” eppur “fondante”. Gli appartenenti a questa rara specie – che a causa dell’inquinamento è ormai quasi del tutto sparita, ma sopravvive sulle rive del Tibisco – sono in grado di donarci ancora una magia indescrivibile e reale, Ah, quanto contraddittorie e così poco bastevoli dei più veri e reconditi significati appaiono adesso le parole e  quante sorprese riserva l’apparente monotonia della Grande Pianura ungherese nel riportare alla vita l’annoiato e stressato protagonista del romanzo!
“Milioni di piccoli tesserini alati si erano materializzati dal nulla, sbocciati come fiori, e ora ronzavano e s’inseguivano vorticosamente sull’acqua disegnando stravaganti traiettorie (…) Non era in fondo quella grande nuvola sospesa una metafora della vita dell’uomo nell’immenso mare dell’universo? E non erano forse quegli squadroni luminescenti di maschi famelici e di femmine in calore la metafora della grande lussuria del mondo? Il destino di quei milioni e milioni di insetti sarebbe stato di morire di lì a poco, di affogare nell’acqua dopo il godimento con le femmine che avrebbero lasciato cadere nell’acqua come ultimo atto, le uova destinate a un nuovo e lungo processo di vita”. E come nella “Marcia dei pinguini”, il bellissimo documentario sui mammiferi del circolo artico recentemente e meritatamente premiato, ancora una volta attraverso l’anello del re Salomone, riusciamo a leggere nel comportamento del mondo animale la chiave per interpretare i nostri più profondi bisogni, per capire il nostro contraddittorio modo di essere umani e, soprattutto, riuscire a lenire le ferite dell’ anima.
Nel racconto autobiografico la memoria febbrilmente romantica di Giorgio è costellata di emozioni contraddittorie. Le pagine sono attraversate da una teoria di personaggi familiari e non che sfilano tratteggiando un mondo arcaico vicino e lontano. Nel ricordo dell’insonne protagonista si confondono passato e presente, una carriera brillante in giro per il mondo e il bisogno di isolarsi tornando alla terra, alla “sua” terra, quell’antica, impervia, italica provincia che egli assume ad eterno simbolo di una periferia che ha smarrito il proprio centro, l’archetipo di un mondo interiore che Giorgio ha sempre portato dentro di sé.
Ma è tempo di tornare alla realtà: dagli amplessi furiosi all’“anima arida”, dalle sponde del Tibisco agli impegni istituzionali e ai palazzi  di Budapest sia pure con la segreta speranza che a lenire l’umana tragedia provveda il cuore di una giovinetta ove albergano ancora “i pregiudizi, la santa poesia e l’intatta purezza di un fiore”.

Carmen Salvo