Dagmar Reichardt – (Le molte culture nella poesia di Marianacci)

Le molte culture nella poesia di Marianacci

Quando in Italia nel 2002 fu pubblicata la versione bilingue italo-inglese dei Signori del vento – Lords of the Wind, modello per la versione tedesca Herren des Windes, fu niente meno che l’importante poeta toscano e critico letterario Mario Luzi (1914-2005) ad apprezzare, nella sua prefazione, la “piacevolezza” delle liriche di Dante Marianacci. Egli le definì astute, giocose, intelligenti, disinvolte in modo amabile: liriche che ci trasmettono l’impressione di genuini mondi d’esperienze, stati d’animo melanconici che si contrappongono alla gioia di poetare che vi si avverte.
Il traduttore lirico britannico, professore di letteratura e poeta laureatus Charles Tomlinson (nato nel 1927) nella sua prefazione a questo volume ricorre invece al Lied von der Erde – Canto della terra di Gustav Mahler per descrivere con una perifrasi il legame che Marianacci ha con la sua patria, l’Abruzzo e con le sue poesie, che descrivono una “transitorietà” costretta nei propri limiti temporali. In effetti i versi di Marianacci sono intrisi della sua vita vagante, della sua ricerca, dell’effimero e del nomadismo, tutti fattori che anche Luzi mette in risalto esplicitamente. Per il diplomatico della cultura Marianacci, che ha percorso l’Europa in lungo e in largo, il viaggiare non è solo una forma di vita: i traslochi e gli spostamenti rappresentano un qualcosa in più nella sua quotidianità. Le poesie di Marianacci parlano a favore di una nomadologia, nel senso di Gilles Deleuze e Felix Guattari: Il movimento dinamico e transculturale suggerisce una moderna poetica dello spostamento e della mobilità, del cambiamento e del trasferimento, dell’individuo errante e dell’identità ibrida umana. Lo sradicamento, il riambientamento e la flessibilità delle frontiere hanno ispirato a questo italiano, viandante del mondo, frontaliere e poeta sensibile, una soggettività fluida come una visione ideale esistenziale e filosofica, in un mondo globale unito ma contemporaneamente frammentato.
Nei primi anni del ventunesimo secolo Marianacci trova per questa forma di esistenza, per questa nuova poetica e concezione mentale dell’uomo transmoderno, una metafora pertinente, alla quale il presente libro deve il suo titolo mordente: il vento. In una catena frammentata da associazioni il vento assume la funzione di un paradossale segnale luminoso, un aiuto flessibile e naturale per l’orientamento del soggetto errante e per il singolo, che vaga nella società occidentale dei consumi. Come un filo conduttore il vento funge da motivo ricorrente e si estende attraverso il susseguirsi delle poesie. Questo elemento naturale aereo unisce e separa, ulula e preme, accarezza lievemente e sconvolge. Il vento fa sì che vi sia sempre del movimento, del cambiamento nelle forme, uno sconvolgimento emotivo o un’attività corporea. A tratti accompagna il lettore sotto forma di un anelito appena percettibile, poi s’innalza lentamente e parallelamente all’azione immaginaria oppure irrompe come una tempesta nel paesaggio. Torna poi ad essere la voce umana articolata e udibile, come un sospiro o un lamento dalle labbra dell’io lirico. Espressioni, lievemente sfumate, che descrivono la natura libera, stanno ad indicarci come i vortici d’aria e le turbolenze si alzino improvvisamente, si muovano lievemente oppure influenzino l’osservatore in modo suggestivo con la loro assenza e calma incalzante. Benché il vento in realtà non sia visibile, esso sostiene il libro di poesie di Marianacci e ne illustra il pensiero fondamentale in una forma sorprendentemente sostanziale. Il movimento d’oscillazione tra la presenza e l’assenza produce un polo d’attrazione estetico e ne determina il fascino. Lui è imprevedibile, riesce ad unire gli opposti e dispone di sfaccettature divergenti: In Come uno squillo lieve giunge “improvvido” consegnando un “messaggio da lontano” che tiene occupato l’uomo contemplativo. In Alle fonti della Pescara egli gioca quasi teneramente “tra i ciuffi di un canneto” sulle rive del fiume. La condizione umana è formata dall’instabilità psichica che si manifesta come Vento e vertigini e che si consolida solo nel nomadismo su un piano materiale e spirituale. Nei momenti melanconici, invece, l’io lirico, a cospetto della nullità e superficialità della società umana o nel vuoto irritante di un ricordo giovanile, si sente come un “carceriere dei venti” (Non so nulla di te), epiteto che ci è noto tramite Diogene Laerzio come nominativo per Empedocle, poeta, sacerdote e filosofo della natura. Secondo la leggenda questo sapiente a cospetto di un‘imminente catastrofe climatica avrebbe salvato le messi dalle calamità stendendo innumerevoli pelli d‘asino, capaci di attutire la fatale forza del vento micidiale, sopra i campi della sua patria siciliana. – Una possente forza della natura e insieme una categoria trascendentale contraddistinguono il vento nella sua mobilità e inavvicinabilità, ma vi è una terza caratteristica importante: quella della sua dignità.

Nei Signori del vento l’io lirico appare solo nei momenti di grandezza, condizionata mentalmente, affettivamente, moralmente e fisicamente: per esempio durante il processo creativo di abbozzi poetici “nati in viaggio per altri viaggi” (Sulle colline innevate di Mondsee) oppure nel contesto di un amplesso amoroso (Campos di Castiglia). Il vento sta al posto della libertà e dell’indipendenza, dell’onnipresenza e della forza, del soprannaturale e dell’invisibile essenziale, dell’ubiquità e della concretezza; lui viene e va. Il vento evidentemente, come il destino, ha il potere di spingere l’uomo in tutte le direzioni di questa terra. Alla fine del libro il lettore ha la sensazione che il vento sia come la vita stessa, ovunque essa si svolga: dolce e nello stesso tempo brutale.
La formula metaforica del vento usata da Marianacci unisce incompatibilità apparenti con esperienze biografiche e con i luoghi dei suoi precedenti impegni di lavoro. In effetti Marianacci, che risiede di tanto in tanto nella città adriatica di Pescara, è nella vita reale molto più di un semplice consigliere culturale, e certamente non è certo uno scrittore solitario e nemmeno un intellettuale rinchiuso nella propria torre d’avorio. E’ un uomo che sta nel bel mezzo della vita, è immerso in molti aspetti della vita culturale e che si impegna come mediatore tra le varie discipline e i diversi settori della cultura, tra le istituzioni accademiche e i mass-media, tra gli ambienti diplomatici e gli interessi politici. E’ sorprendente come lui, dato questo suo impegno professionale, riesca ad ottemperare alla vocazione di scrittore, occupandosi degli affari correnti con l’impegno dovuto e contemporaneamente sia in grado di prendere le distanza e assumere il ruolo di osservatore silenzioso. Semplicemente lascia accadere le cose al momento giusto, e spesso ottiene nella vita pubblica culturale molto più di quanto presumibilmente si renda ben conto. Ma egli è soprattutto un instancabile alfiere della divulgazione istituzionale e mediale della cultura italiana, che lui ovviamente non considera mai isolata, ma sempre nel contesto dello scambio europeo. E’ proprio questo che fa di lui un uomo di cultura, un “signore” nel business culturale europeo sulla soglia del nuovo millennio. Un simile campo d’azione richiede dei protagonisti credibili, nonché un know-how organizzativo e una capacità di giudizio altamente professionali, oltre che una grande sensibilità nel far coesistere le diverse culture, cose che Marianacci mette a frutto anche nelle sue poesie.
Che quest’uomo non sia unicamente scienziato, critico lucido, giornalista e direttore d’istituti di cultura non è un fatto insolito in Italia. Qui, come nella vicina Francia, i letterati hanno coscienza di sé e si presentano regolarmente sulla stampa quotidiana con temi rilevanti di natura politica o sociale. I campi d’azione qui sono più vasti che in Germania e il ventaglio delle possibilità più ampio, ma i criteri di valutazione sono non per questo meno esigenti. Se ne deduce che non è affatto un gioco da ragazzi il lavoro costante necessario a creare un nuovo profilo poetico personale, una propria concezione artistica per costruire e ampliare il proprio mondo tematico letterario e renderlo adeguato poeticamente, autentico e vero. Questa è una sfida che scoraggia molti scrittori e li può portare a un fallimento che dura tutta la vita e a cui molti soltanto dopo morti riescono a rispondere. Solo colui che si interroga seriamente sul piano filosofico si può far carico di un tale fardello psicologico. Quali sono gli interrogativi mossi da queste riflessioni che possono aver influenzato Dante Marianacci durante la stesura dei Signori del vento? E come si inserisce la sua lirica nel paesaggio letterario attuale in uno scenario poetico italiano o europeo?
Alcuni argomenti tematici della sua poesia provengono dal pensiero postmoderno. In essa si insinuano l’irrequietezza che tiene in movimento la mobilità del poeta, l’indefinito che fa sprofondare l’io lirico nel disorientamento e lo confronta con la fugacità dei suoi sogni, dei pensieri e dell’ambiente (Il destino dei sogni), i molteplici riferimenti intertestuali: la metamorfosi dello scarafaggio di Kafka (Alle fonti della Pescara), Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Màrquez (Macondo), il Faust di Goethe (La casa della vita), i classici della letteratura fantastica come Il Signore degli Anelli (Lord of the Rings) di John R.R.Tolkien, oppure i popolari episodi dei film di Guerre Stellari ai quali il titolo inglese Lords of the Wind potrebbe ispirarsi letteralmente, e infine molteplici influssi mediali eterogenei, come la musica di Richard Wagner (Tra il musico e il poeta) e di Elton John (Un nuovo viaggio), un “CD”, o “nelle foto” da un “grande schermo” o uno schermo televisivo o riproduttivo, o rispettivamente delle evocazioni dell’era di internet (Altri eroi o Il destino dei sogni).

Questa sua prima raccolta di poesie in lingua tedesca Herren des Windes – Signori del vento mostra chiaramente quanti campi di tensione tematici e quanti poli teoricamente divergenti determinano la sua opera. Così troviamo il contrasto tra parametri regionali e urbani e tra un mondo altamente tecnicizzato di “clonazione digitale” (Un nuovo viaggio) e “(…)replicanti /digitali(…)” (Altri eroi) e le riflessioni che guardano verso l’antichità storica.
La grande letteratura di Kafka (In punta di piedi), di D’Annunzio o di Campana (Sissignore) produce sulla massa la stessa impressione causata dai media per la vicenda di Lady D (Un nuovo viaggio). Contemporaneamente ricordi semiautobiografici dell’infanzia e di amori passati si confrontano con fondamentali questioni filosofiche sulla natura e la morte (come nella poesia Altre illuminazioni, che tra l’altro decanta l’amara dolcezza della vita). Le aspettative ottimistiche e i timori pessimistici generalmente si bilanciano in Marianacci. Nella poesia E’ un transito pesante ai “nostri lamenti” risponde alla fine “sempre la speranza”. La natura e la tecnica sono, come dimostrano Le colline innevate di Mondsee e il “cruscotto” dell’auto con la quale il poeta viaggia da Pescara a Praga, un binomio di contrapposizioni ricorrenti e amato. L’ordine e il caos si incontrano come termini binomici nel campo di tensione tra musica e parola letteraria (Tra il musico e il poeta) o tra uomo e donna (Filastrocca del bene e del male).
Le donne sono una tematica ricorrente non solo dall’inizio della storia della letteratura italiana, con il Dolce Stil Novo di Dante Alighieri e con i sonetti d’amore di Francesco Petrarca e del Petrarchismo, ma anche in Marianacci. Spesso l’amore sembra essere una tortura (Da quella veste tua) o una forte delusione (A sentire Tecla). Il poeta collega ad esso – e più tardi lo riproporrà con Bohumil da una prospettiva maschile – la problematica dell’enigmaticità dell’essere e dell’uomo in toto (Non so nulla di te). La sua lirica tratta da un lato l’ambivalenza dei “mutevoli occhi tuoi / (…) pieni di turbamento” che anche in Dai sette colli di Praga sembra definire un’essenza umana, e dall’altro tratta una straordinaria fede nel destino (Macondo) che contiene un’accettazione fatale di forze evidentemente superiori. In Campos di Castiglia, invece, si manifesta tutto l’orgoglio e la dignità maestosa dell’autore nella frase chiave “ eravamo i signori del vento” in un modo surreale e contemporaneamente sensuale marcatamente maschile.
Le figure femminili che impegnano l’io lirico al di là dell’eros e della donna in quanto “femme fatale” (Sissignore), hanno una carica più positiva, personificata in modo esemplare dalla figura fisicamente piccola ma eticamente “gigantesca” di “Madre Teresa” (Un nuovo viaggio) che viene evocata più volte. Il lato solare della vita, la sua “serenità” e la sua giocosità sono conosciute al meglio dalle suore o “suorine” di un ordine non meglio specificato. Esse vanno incontro alla “gioia della vita” con “occhietti vispi” e si rivelano essere sia delle donne sicure che dominano pragmaticamente e agevolmente l’aldiquà, sia delle conoscitrici metafisiche della “(…) esistenza di Dio/nel corpo e nella mente”. Nei panegirici sulla donna si mischiano in Plagiario della memoria dei presentimenti negativi e degli effetti collaterali dell’amore, come il tradimento o la gelosia. Essi si preannunciano già nel titolo della prima parte della raccolta di poesie Evanescenze e riverberi che mostra gli effetti fittizi, gli sdoppiamenti e i sintomi di dissoluzione ma anche in questo caso il loro valore viene relativizzato da una citazione in prima pagina di Samuel Beckett, che ci indica in maniera consolante il nesso indissolubile tra l’infelicità e la comicità: “nulla è più buffo dell’infelicità … è la cosa più comica del mondo” . In Nella città di Molly la donna appare come una fonte pura dell’amore guidata da madre natura: “Le donne che non hanno amanti/semplicemente amano”. In Lettera alla madre, una delle due Postille dalla parte conclusiva della raccolta, il poeta riassume gli argomenti della vicinanza e della lontananza, dell’illusione e del vuoto, della vita e della morte, del tempo che passa inesorabilmente, dell’arrivo e della partenza. Nonostante i toccanti ricordi dell’infanzia, il dolore per la separazione e la perdita della madre, la poesia termina, anche in questo caso con la “gioiosa speranza che sempre vinceva sul dolore” alla quale egli stesso attinge per vincere. La frequente figura della “mammina” (Tra gli artigli della mammina o anche in Dai sette colli di Praga) rappresenta invece un accenno diretto a Franz Kafka, per il quale, nel suo appassionato rapporto di odio e amore verso la sua città, Praga poteva essere definita come una “mammina con gli artigli” restia a lasciare liberi i propri figli.

Nelle poesie di Marianacci, redatte in un italiano limpido e privo di espressioni dialettali, l’aspetto commemorativo assume una grande importanza. Quest’ultimo è sempre abbinato al “Crono” (La prima freccia) e al fenomeno del tempo fuggente, e spesso mischia ricordi e melanconia (Alle fonti della Pescara e La prima freccia – ricordo doloroso del primo grande amore). A volte il ricordo mostra una nota nostalgico-sentimentale (fine della poesia Campos di Castiglia) e si rivolge con un lamento melanconico alla gioventù passata (Non altro o Sissignore). Al tono doloroso si oppone nuovamente il senso dell’ humor e la comicità di Marianacci, come nel titolo pieno di ironia della poesia In punta di piedi, che termina con un colpo di scena degno di una rappresentazione teatrale. Non privo di auto-ironia è anche Invidio Bertolucci: con un forte atteggiamento di modestia affronta la tematica dell’invidia ma contemporaneamente dirige la sua attenzione su una figura maschile positiva impersonata dal poeta Attilio Bertolucci (1911-2000) che funge da guida e che diventa per il poeta una figura di riferimento. Questa si scosta in modo contrastante dall’immagine negativa del padre morto che l’io lirico non “capiva” mai (Altre illuminazioni) e che nel ricordo infantile era “insensibile e dominatore/giudice parziale e crudele” e che per il figlio, al di là della morte, è rimasto enigmatico e sconosciuto (Triste è questo giorno).
La seconda parte della raccolta Signori del vento è dedicata esplicitamente a Storie di altre storie e mostra un marcato interesse per contesti storici. Leggende antiche come “il ratto delle sabine” (Non altro), l’attraversamento del Rubicone da parte di Cesare o l’Odissea di Omero (Un nuovo viaggio) esprimono già nella prima poesia di questo libro la fondamentale importanza della letteratura. L’antichità storica rivive negli inizi della storia della letteratura italiana, con chiari riferimenti al “Paradiso” di Dante (Un nuovo viaggio) e riecheggia di nuovo nel ventesimo secolo della voce di Simone Weil. Analogamente, nella visita alla famosa fortezza morava dello Spielberg, risulta essere indissolubile la percezione dell’io lirico con la detenzione per quindici anni di Silvio Pellico (1789-1854), che Stendhal definì il più grande scrittore tragico italiano, così come il suo libro “Le mie prigioni” del 1832 (Dai sette colli di Praga).
La letteratura che si rigenera costantemente occupa il primo posto non solo nella dimensione storica, ma anche nella sublimità delle esperienze amorose e nell’identità che l’io lirico formula nella poesia centrale Campos di Castiglia: “Rileggo i miei poeti / e non è la stessa cosa”. La “poesia di Machado” qui evocata assume nei versi di Marianacci la stessa funzione del galeotto nella famosissima scena di Paolo e Francesca nella Divina Commedia di Dante Alighieri. Nella poesia giocosa La proibita voluttà il desiderio e la letteratura si uniscono in un’unità sensuale: “Tutta la notte ho letto e riletto”. La letteratura elargisce al lettore gioia, “luce” e un piacere che si nasconde come un voluttuoso “buio” dietro alla parola scritta. La poesia I poeti post mortem, invece, fa esplicita la posizione sociale e la problematicità della condizione del poeta: spesso solo la morte concede al poeta la fama meritata. Tutto ciò potrebbe essere interpretato come un’ironia della storia o come la tragedia del povero poeta, ma Marianacci si limita ad una laconica autoironia: “E’ destino (…)” Ciò non cambia anche se autori come Claudio Magris, Jorge Luis Borges o Oscar Wilde (perfino Dorian Gray) indicano sia al poeta che al lettore le vie per una possibile salvezza: “Poi leggo e rileggo” (Altre verità).
Al lettore della poesia di Marianacci uno sguardo rivolto verso la Storia è utile a cogliere gli elementi di continuità e le tradizioni che servono per approfondire le questioni sollevate dal poeta e offre possibili soluzioni. Oltre al dono tipicamente umano del sorridere e ridere, che il processo di lettura intende stimolare, un animismo natural-mitologico fa sì che il soggetto non capitoli davanti alle provocazioni della vita e alle domande esistenziali, ma si rivolga a loro in modo ricettivo. Così in La tua casa la tramontana, il vento del nord – cioè un vento particolarmente freddo che viene dalle montagne ed è presente in Centro Italia – irrompe possentemente nel primo verso come un impulso umanizzato. “Lui” muove l’erba, porta i profumi e sorveglia le notti d’amore che l’io lirico trascorre “sotto la luna” o “al mare”. Contemporaneamente pare che nel vento sia insito un principio divino, una onniscienza vivace, che avvolge allo stesso modo sia la vita che la morte: “(…) e d’amori fino a te, nel cimitero piccolo abbandonato”. Con l’aiuto di un “(…) miraggio / di un lungo viaggio” il ricordo di una persona amata defunta trasporta il lettore nel regno della fantasia e dell’ippogrifo – animale delle favole metà cavallo e metà aquila, originario dell’epos rinascimentale italiano – prima che la realtà postmoderna ci riporti nel hic et nunc del soggetto lirico, che si intrattiene solo “di passaggio tra un volo e l’altro / e un desiderio grande” che lo assale nel luogo dell’azione immaginata.

L’antichità e il postmoderno si scontrano costantemente nelle poesie: Marianacci cerca Altri eroi, modelli conformi ai tempi, direzioni di sviluppo potenziali, guide nuove, autentiche, specialmente maschili, per il ventunesimo secolo.
Il ricollegarsi allo stesso tempo alla tradizione letteraria permette di dare nuova vita a certe immagini e a utilizzarle come elementi contrastivi. Così il „maggior corno / della fiamma antica“ richiama l‘intensità del discorso di Ulisse nell‘ottavo cerchio dell’Inferno dantesco, dove i cattivi consiglieri sono costretti al pentimento rinchiusi in sfere di fuoco. Il corno, che qui è da intendersi come immagine, è riferito a Ulisse, il quale, nella sua superiorità rispetto al suo compagno di sorte Diomede, serve come antieroe del nostro tempo.
Ne sia un altro esempio la poesia Isocrate e Aristippo, che inizia con la descrizione di efebi millenari che, come delle statue lasciano i propri “piedistalli di marmo” per andare in contro a un passato ancora più lontano. In parallelo con la spensierata vita sulla spiaggia di un amato luogo balneare dei nostri tempi, il soggetto lirico si sforza di fare dei paragoni tra la gioventù di oggi e quella “della Grecia antica”. “Spaziali strumentazioni” e “musiche tribali” si scontrano nell’associazione e finiscono in una critica malinconica e stereotipata, regressiva che va verso il vuoto. “Imprudenza e sfrenatezza / hanno preso il posto / della modestia antica”. La modernità attuale viene stereotipata e sembra consistere ormai solo di menzogne e inganni. Nella vetrina sul mare si riflettono piccoli “falsetti” di esibizionismo al cospetto dei quali si può solo cadere in una “infinita solitudine”. Dall’antichità si può attingere a verità più profonde che non dal presente, questo è la conclusione finale dell’ultimo verso che si rifà al “vecchio Catone”.
Il poeta Marianacci, negli stati d’animo descritti in questo modo, sembra essere esposto al vento della storia alla stessa maniera dell’infelice Angelus Novus di Walter Benjamin, il quale, partendo dalla prima metà del ventesimo secolo, guarda verso il passato e dalla tempesta della storia e del progresso viene sospinto all’indietro verso il futuro. In Isocrate ed Aristippo troviamo giovani uomini della vecchia Grecia abili nell’uso delle armi, i quali impersonano una situazione simile, ma con una lieve modifica rispetto all’immagine di Benjamin. La rappresentazione introduttiva degli statuari “efebi pettoruti” avvicina Marianacci allo spirito del Mitomodernismo italiano, una nuova corrente letteraria della poesia italiana, che si è prefissa programmaticamente il superamento della neoavanguardia, imperante dagli anni 60 in poi, sorta attorno a Edoardo Sanguineti (nato nel 1930). Specialmente il circolo letterario dei “mitomodernisti” fondato negli anni 1990 dallo scrittore ligure Giuseppe Conte (nato nel 1945) si riallaccia, oltre che ad altri oggetti archetipi della tradizione culturale, anche alla mitologia greco-romana, per collegarli con problematiche di uguale significato della post- e transmodernità nell’Europa del terzo millennio dopo Cristo. In Marianacci la mitologia antica non occupa un ruolo importante solo in relazione alle donne (Da quella veste tua), anche in Bernardo la storia ha un’importanza enorme: l’uomo d’oggi non è null’altro che un “nano sulle spalle dei giganti” del passato. La figura di Bernardo impersona magistralmente lo sguardo volto al tempo di secoli passati dai quali figure di rilievo del Novecento quali il sociologo Danilo Dolci, il regista teatrale Giorgio Strehler o Madre Teresa hanno tratto le misure del proprio impegno etico e che preservano tutt´oggi la loro validità. Il nome del titolo Bernardo serve come una figura-simbolo allegorica di un tale “gigante”, poiché esso allude sia al medievale San Bernardo di Chiaravalle – mistico benedettino, fondatore di numerosi monasteri cistercensi e modello per l’impiego umile della ragione umana nel Paradiso di Dante – nominato all’inizio del componimento, sia al suo contemporaneo omonimo noto come Bernardo di Chartres. Con queste riconsiderazioni di mondi passati siamo ricondotti al poeta Mario Luzi (tanto apprezzato da Marianacci), che nei propri anni giovanili faceva parte della cerchia dei poeti ermetici italiani, sotto l’influenza del simbolismo francese come anche dei principi puristici di Mallarmé e che si sentiva di appartenere anche al mondo contadino in via di sparizione e cercava verità in un modo nostalgico e cosmico. La particolarità nell’opera di Marianacci è l’accento culturale che egli pone sul punto di partenza transmoderno nell’Europa attorno al fine millennio, al quale si àncora tutto il suo poetare. Senza riferimenti al passato e all’antichità occidentale, il presente non è collocabile. Nel superamento dell’anything goes postmoderno avviene una riflessione sulle nostre radici storiche e culturali genuine, con una contemporanea accettazione, integrazione e osmosi reciproca delle identità degli influssi culturali stranieri.

Così nasce una lirica artistica della “Zwischenschaft”, cioè la capacità di venire a capo dell’intermediarietà, un’ espressione con la quale questo autore tedesco di Romania Dieter Schlesak (nato nel 1934) che vive in Toscana, descrive i concetti fondamentali della sua lirica affine al mitomodernismo italiano. Schlesak, come intermediario, o “Zwischenschaftler”, si fa garante – per così dire nel triangolo linguistico Romania-Germania-Italia – di una coscienza mitomodernista nella poesia contemporanea europea e vorrebbe infrangere in modo particolare le barriere di uno scetticismo linguistico tedesco e di orientamenti razionalistici attraverso un quadro allargato di una scena poetica che abbracci aspetti sia storici che post-occidentali, per favorire uno scambio su scala continentale. Partendo da una “posizione intermedia”, cioè ibrida, la lirica di Marianacci non smentisce né le sue origini italiane, né lo sfondo della cultura europea che ne costituisce il sostrato naturale. Nascono così testi di piuttosto facile lettura e non di pesante digeribilità, che arrivano a noi con gli accenti transmoderni di una apertura culturale, con una presa di contatto linguistica e con una serenità linguistica, che ci sono di aiuto nella ricerca di nuove alternative nell’epoca della globalizzazione e della digitalizzazione e che dischiudono strade future per l’espressione poetica e per una creatività rinnovata.
La posizione letteraria del poeta Giuseppe Bonaviri (nato nel 1924), più anziano di una generazione, si avvicina sotto molti aspetti alla visione della vita che ha Marianacci, come lo sguardo rivolto all’animismo e al fatalismo che viene evidenziato dai paesaggi, dalla natura e dall’esistenza terrena. Il siciliano Bonaviri scrive nella sua postfazione alla versione originale dei Signori del vento, che il vuoto dell’esistenza umana viene definita irrequietezza tormentata e il gioco di alternanze tra presenza e assenza si dissolve nell’elemento aereo al quale appartiene il vento. Le continue metamorfosi determinano, secondo Bonaviri, il flusso della vita, che in Marianacci si intensifica in un gioco di “specchi verbal-poetici” e in “lampi policromatici”. Così come nell’opera di Bonaviri, la funzione del gioco occupa una posizione centrale anche in Marianacci. Secondo la teoria del gioco del teorico letterario Roger Caillois, essa fa sì che il poeta possa compiere in quanto homo ludens il salto dal gioco (di parole) verso l’illusione (poetica). Anche per Sigmund Freud una poesia assume il rango di finzione, allo stesso modo come il giocare di un bambino è una finzione o un distacco dalla realtà: sia il bambino che il poeta prendono molto sul serio il loro gioco. A questa circostanza, secondo Freud, è dovuta l’importanza dell’arte del poetare ed è un grandissimo merito della storia della letteratura italiana quello di praticarla con grande intensità e non solo in passato. Inoltre l’Italia può essere considerata un modello da seguire proprio per la serietà con la quale vi si tiene conto del gioco e della lirica, in tempi in cui argomenti come la ricerca del senso filosofico, dibattiti sulle origini storiche e l’attenzione verso forme d’espressioni culturali tramandate, rischiano di essere sopraffatti dall’atteggiamento consumistico del mondo occidentale industrializzato. La pubblicazione di un volume di poesie bilingue come Signori del vento / Herren des Windes riesce a dare vigore ad un genere che proprio in Germania è fortemente a rischio e ad arricchirlo sotto prospettive inaspettate in modo molto personale e a propagarlo in campo europeo.

Dagmar Reichardt, novembre 2007

Dagmar Reichardt, nata a Roma, dopo gli studi di Filologia romanza e tedesca, di storia dell’arte e filosofia a New York, Francoforte, Urbino e Amburgo attualmente è assistente e ricercatrice di Lingue e Letterature romanze all’Università di Brema. Campi di ricerca: Italianistica e Letterature e culture comparate. Numerose pubblicazioni come curatrice, critico letterario e come autrice. Come traduttrici, fra altre opere: Giuseppe Bonaviri: Il dire celeste. Lirica di Bonaviri / Himmelsreden. Lyrik von Bonaviri, tradotto, commentato e con una prefazione di Dagmar Reichardt, Stuttgart 2004. Da ultimo ha ottenuto il XXXIV Premio Internazionale d’Italianistica Flaiano 2007.

Traduzione dal tedesco di Norma Di Meo, riveduta ed integrata da Antonio Staude – secondo la versione definitiva del testo originale come andrà alle stampe nel volume attualmente in preparazione: Dante Marianacci: Signori del vento / Herren des Windes. Aus dem Italienischen von Antonio Staude. Nachwort von Dagmar Reichardt. Pop-Verlag Ludwigsburg 2008; ISBN: 978- 3-937139-40-1 , D: 15,50 ; AT: 16,– ; CH: 26,– (nel libro- almeno secondo l’impaginazione provvisoria- la postfazione prenderà le pagine 101-115).

N.B. : si aggiunge un trafiletto biografico dell‘autrice, qualora potesse servire e qui di seguito – per conoscenza o riferimento per le modifiche nel testo – anche la versione originale.