Mario Luzi – (Signori del vento)

La piacevolezza specialmente se garbata e maliziosa è sempre stata una rarità nella nostra letteratura in versi. Tanto più lo è quando non è ironica, ma divertita, scoperta, giocherellona e fiabesca come nel caso di Dante Marianacci. Una ingenuità, la sua, che presuppone esperienza e sapienza delle cose del mondo ma non per questo è meno genuina.
Che singolare disposizione d’animo e di estro tra immediatezza, semplicità e rimando colto, tra osservanze e infrazioni di regole, gioco e serietà. Tutto coesiste nel gusto della scrittura che, si sente, rallegra prima ancora dei suoi lettori il poeta medesimo. Il che equivale a dire in parole povere che il poeta si diverte scrivendo – davvero non è poco.
E chi potrebbe essere l’interlocutore? Un puer sotto specie di uomo autoriflessivo, smagato, sì, ma pronto alle lusinghe dei ricordi come alle immaginazioni e fantasticherie perdute e ritrovate.
Marianacci ha fatto tesoro di tutto: luoghi, paesi, poeti di cui è intimamente e variamente nutrito, facendo anche di loro, come di se stesso, amorevole leggenda.
Ma non bisogna passare sotto silenzio la bella capacità affabulatoria pari solo all’arguzia benigna della sua affabile musa. L’una e l’altra virtù si fondono nell’incantevole registro del racconto che noi ascoltiamo a brani. La vita nomade ne ha ritmato le cadenze, ne ha infoltito la ricchezza, ma non ha alterato il sentimento malinconico sì, ma brioso, neppure con la nostalgia delle “fonti di Pescara”.

Mario Luzi