I cloni di Mr Bond (L’Airone Editrice, 2004)

L’altra lupa 

La profondità va nascosta.
Dove? Alla superficie.
Hugo von Hofmannsthal

CloniLo tenne a lungo in mano, indeciso se acquistarlo o no. Avrebbe sicuramente fatto al suo caso. Questa volta non ci sarebbero state altre giustificazioni ad immobilizzare il suo cervello, ad impedirgli di pensare, di agire nella direzione che riteneva più giusta. Forse anche lei aveva capito che sarebbe stata l’ultima volta. A nulla era valso il lungo, estenuante amplesso della notte, culminato con l’ennesima dichiarazione d’infinito, incondizionato, unico amore. Di lì a poche ore Gilda s’era svegliata come un cerbero al suono assordante della sveglietta sul comodino ed aveva subito iniziato il lungo refrain di strilli soffocati e singhiozzi. Rabbia e lacrime. Era ancora amore? Era mai stato amore? Aveva voluto accompagnarlo lei all’aeroporto per continuare a rendergli quei momenti ancora più penosi. Poi l’aveva lasciato, in mezzo al piazzale, senza un cenno di saluto ed era partita, sgommando, senza nemmeno voltarsi. Era la prima volta che accadeva dopo tanti anni.
Federico, rimasto solo, con la valigia da una parte e la borsa da viaggio dall’altra, aveva interpretato quel gesto come una liberazione, forse quella definitiva. Ma era giusto, civile, umano, lasciarsi in quel modo? Forse era meglio finire così, senza un’ulteriore, plateale scenata, quando ci si deve vergognare di essere in un posto, con quella persona, e uno si sente impotente e non sa che cosa fare. Si guarda attorno, smarrito, indifeso, e si chiede: “Ma sono proprio io? Come ho fatto a cadere in questa trappola infernale?” Così pensando, Federico aveva raggiunto il bar della sala d’attesa, aveva acquistato il giornale e s’era bevuto un caffè bollente.

Se l’era vista tornare mentre già era in fila per il check-in. L’aveva chiamato, incurante delle molte persone che affollavano la sala, come un padrone chiama il suo cane, con gli occhi stralunati, sicura dell’ubbidienza incondizionata. Federico, per evitare il peggio, l’aveva seguita. Tutti avevano assistito alla scena. Mancava solo che una pistola spuntasse dalla tasca del cappotto rosso. Delitto passionale? Fuori tempo. Palesemente in preda ad un confuso stato mentale, Gilda l’aveva osservato, perfino odorato. “Tu hai bevuto un caffè!” gli aveva detto in tono perentorio. Come se bere un caffè alle sei del mattino fosse stato il più grave dei reati. Per fortuna non aveva visto il giornale che lui s’era affrettato ad infilare nella tasca laterale della borsa da viaggio. Quella frase era carica di significato. “Io ti ho lasciato in quel modo, senza nemmeno un cenno di saluto e tu, invece di strapparti i capelli, sei andato tranquillamente al bar a prenderti un caffè.”

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