Giuliano Manacorda – (Maschere e fortilizi)

Maschere e Fortilizi
(Bastogi, 1985)

Sarebbe troppo facile, anche se niente affatto errato, definire questa raccolta di Dante Marianacci un canzoniero d´amore, tanta è l’immediata e dolente carica sentimentale che, per la sua gran parte, la detta e la sostiene. Ma pur nella esibita nostalgia degli affetti, nell’invocazione alla figura femminile dolce o cupa, nel rimpianto di una felicità che sembra sempre un passo al di là della sua illusoria cattura, Marianacci ha nel suo bagaglio altre armi che non siano la parola spontanea che sgorga dal cuore e cerca il suo  desiderato destinatario. Al cuore, che pur c’è, si aggiunge un’altrettanto valida motivazione, che è di natura culturale, che riconsosce i suoi maestri, Eliot in primo luogo (anche se momentaneamente rifiutato in un gesto di fastidio che è piuttosto di disperazione) e li tiene saldi come una traccia su cui quella parola si deve di continuo misurare. Credo che il risulatato piú interessante di questa ormai quindicinale esperienza poetica sia la simbiosi di voce del cuore e acquisizione di testi di stile alto e sermo humilis, di immediatezza sentimentale e riflessività espressiva. Probabilmente è da questo tipo di incontri sotterraneamente realizzanti che nascono gli esiti più propri di un poeta che “sa ancora morire d’amore” ma senza svenevoli intenerimenti; è da questa sollecitazione composita (ma assolutamente non ambigua) che sboccia frequente il dissidio tra il tono del colloquio intimo e i colori violenti e i suoni aspri delle tempeste e degli uragani; è da lì che può prolungarsi il filo discorsivo della singola poesia nelle clausole finali che quasi sempre lo sintetizzano ad un grado più alto di chiarezza ideologica e poetica; è quella contaminazione che permette di affiancare la citazione d’autore alle parole sempre. E soprattutto può spiegare la duplicità indicata già nel titolo: cosìsi muove la vita, e la poesia, di Dante Marianacci, tra la falsità della “vita  ingorda” nell’ “orgia  del mondo”, tra le maschere che ogni giorno si indossano per seguitare a recitare degnamente la commedia quoitidiana –e la memoria che crea le difese per restituire un senso, una dignità, persino una dolorosa soavità agli attori di questo palcoscenico. Sullo sfondo, come ultimo “fortilizio”, il poeta sembra suggerire il silenzio; ma si tratta, come è noto, di una contraddizione in termini simile a quella  del pittore che scarica –o crede– il suo travaglio sulla tela bianca; così accade a Marianacci, che alla tentazione del silenzio risponde ancora con la parola, ma una parola –questo sì– che sempre più va drammatizzandosi sin quasi a voler significare la vanità di ogni cosa, la condanna non rassegnata alla condizione dell’angoscia.

Giuliano Manacorda